Cervinus iratus leges minitatur, et urnam,
Canidia Albici, quibus est inimica, venemum
Grande malum Turius, si quis, se judice, certet.
Horatio
Ci narrano i poeti,
Che allor quando mancò l’età dell’oro,
Astrea fuggì dalle mortali soglie,
Ma nel fuggir le caddero le spoglie;
E si disse che sieno
Quelle vesti formali
Che adornano i Legali,
Che nelle Rote, ovver nei Parlamenti
Prendono if nome illustre,
D’ Auditori, Avvocati, e Presidenti.
Di tai spoglie pertanto un di vestito.
Con fronte maestosa,
Accigliata e rugosa,
Ove pinti pareano i gravi e seri
Affollati pensieri,
Stavasi un uom, che al portamento, agli atti,
Ed all’aria importante,
Che si vedea su la sua faccia espressa,
E’ rassembrava la Giustizia istessa.
Da lui non molto lungi
Due laceni, meschini Pescatori,
Con rustici clamori
Facean aspra contesa,
Per decider fra loro a chi spettasse
Un’ostrica che inisieme aveano presa;
Dell’ infelice pesca di quel giorno
Era l’unico frutto:
Batteano il dente asciutto
Famelici ambedue, l’ ostrica aperta
Era sul suoi, che coi soave odore
Dell’ acidetto umore,
Onde gli scabri gusci eran stillanti.
Accresceva la fame a’ litiganti.
Stavan già per decider l’aspra lite
All’ uso de’ Sovrani
Col venire alle mani;
Giacchè pare una regola
Da’ sommi Metafìsici e Politici
Fissata, e posta omai fuor di questione,
Cioè, che chi ha più forza, ha più ragione.
Or mentre i nostri duoi
Bravi e affamati eroi
Per più degna cagion di’ Ettore e Achille,
E ben mill’ altri e mille,
E della vecchia e della nuova istoria
Illustri pazzi indegni di memoria,
Col pugno stretto ed alto
Correvano all’ assalto,
Comparve ad essi avante
Del nostro grave Giudice il sembiante.
Subito per rispetto
Il piè trassero indietro i combattenti,
E piegaron la fronte riverenti:
Parve dal ciel quest’ uomo a lor mandato,
E convennero entrambi,
Ch’ ei tosto decidesse ogni lor piato.
Egli accettò l’ offerta, e volle prima,
Perchè in regola ogni atto camminasse,
Che l’ ostrica in sua man sì sequestrasse.
A lui ciascuno espone
Tosto la sua ragione.
Io la vidi primiero,
Un nodoso bastone e sì pesante
Da far fuggir la fame in un istante.
Il Destrier generoso
Del tastone all’ aspetto
Sentì nascersi in petto
Un certo non so che,
Che la fame passar tosto gli fè:
Il Montone tremava,
Il Bue deliberava,
E dopo lunga deliberazione,
Decise di star lungi dal bastone.
L’Asino allor senza pensar di più
Spicca leggiero un satto,
E del baston va incontro al fiero assalto;
Grida invano il custode,
Invano il duto l’egno in aria scote,
Invano lo percote,
Invano lo respinge, invan lo pesta,
Sotto l’aspra tempesta
De’ colpi orrendi l’Asino s’ avanza,
Del custode a dispetto
Salta e scorre nel florido ricetto.
Eccolo in mezzo all’erba
Colla testa superba;
E rivoltosi allora a’tristi amici,
Che i successi fetìci
Dell’ orecchiuto eroe
Miravano con’ occhio invidioso.
Imparate, Imparate,
Disse con volto placido e giocondo:
Così si fa fortuna in questo mondo.
“Giudice e i Pescatori “