Nosti complures Juvenes barba et coma nitìdos,
de capsula totos; nihil ab illis speraveris forte,
nihil selidium.
Seneca ad Lucilium
Otesa vezzosamente in sa dorato
Morbido canapè Fille giacea:
Reggeale un braccio il mento delicato,
L’altro languidamente in sen cadea;
Curvato alquanto il capo era sul petto,
Per non scompor del crine il vago assetto.
Chiuse avea le pupille e dolcemente
Il soave respiro uscendo fuori,
Or alzava, or premeva alternamente
Del delirato seno i molli avari;
E già le aveva il pigro umor di Lete
Composti i sensi in placida quïete:
Socchiuse eran le imposte, e appena il giorno
V’ introducea furtivo un dubbio lume;
Scherzavan gli Amorini a Fille intorno,
E dibattendo ìs dorate piume
Sul crin, sul labbro, in questa parte e in quella,
Lusingavano il sonno della bella.
Morfeo l’ eburnea porta a’ sogni aprìa,
E le vezzose immagini galanti
Di Fille alla vivace fantasìa
A stuolo a stuol volavano davanti:
Mode, amanti, teatri a ogni momento
Rapidi succedeansi al par del vento.
Già fatta in sogno sei conquiste avea,
Già nella prima copia avea ballata
Dodici contraddanze, ed or volgea
Il pensiero a comporre un ricamato
Serico ammanto in vaga, e nuova guisa,
Per cui debba invidiarla e dori, e Lisa,
Allora una Zanzara impertinente
Per l’ ombra taciturna i vanni aprìo,
E il vol spiegò là dove dolcemente
Fille giaceva in ua tranquillo oblìo,
Osando entrar nell’ aureo gabinetto,
Sol delle Grazie e degli Amor ricetto
Per le tenebre amiche e l’aer cheto
Vola con rauca suon di stridul’ ale,
E con acuto sibilo inquieto
Il petulante e garrulo animale
Di noiosa armonìa fere gli orecchi,
Quasi a punger da lunge s’ apparecchi.
Con larghi giri or alza, ed ora inchini
L’ audace volo l’ importuno insetto;
Appoco appoco a Fille s’ avvicina,
Striscia or sul volto, or sul’ eburno petto,
E su la rosea guancia alin l’audace
Volo raccoglie, ivi si ferma, e tace.
E con insano e scellerato ardire,
Tratto fuori l’acuto ago pungente,
Con sacrilego colpo osa ferire
La tenerella guancia ed innocente:
Gonfia la punta fibra, e su la gota
S’ erge ineguale e rubiconda nota.
Fille tra il sonno ancor, rotando intorno
La bianca man, l’ audace insetta scaccia;
Ei s’ alza a volo, e fa di poi ritorno,
E di nuovo la punge in su la faccia:
Fille lo scaccia ancor, ei non va lunge,
Torna, e di nuovo il volto a Fille punge.
Fille si desta allor: sorge turbata
Dal morbido sedile, e ‘l fazzoletto
Rotando or qua, or là con mano irata
Su l’ardito e fugace animaletto,
Tenta di farlo in guisa tal morire,
E punirlo così di tanto ardire.
S’ innalza, è al di lei sdegno agii si toglie,
Ma quasi dal bel volto esser disgiunta
Non possa, in spessi giri il voi discioglie
Intorno al di lei capo, e nella punta
D’un’ alta piuma, che sul biondo crine
Giva ondeggiando, ella si posa alfine.
E parendole poi che nuova e strana
Ingiuria a lei fatta da Fille sia,
Modulò dolcemente in voce umana
L’irregolare e stridula armonia,
E in detti quasi queruli e pungenti
Parlò rivolta a Fille in questi accenti:
Perchè mi scacci, o Fille? io non credea
D’esser da te trattata così male,
Mentre girare intorno a te vedea
Gente, che più di me forse non vale:
Qual merto han più di me quelli, che intorno
Seder ti veggo al fianco notte e giorno?
Que’ sciocchi che cotanto il mondo apprezza,
E sapienti, e filosofi egli chiama,
Che forse per pensar con più stranezza
Dell’altra gente s’acquistaron fama,
Credendo d’esser Regi in fra i mortali,
Chiamanci irragionevoli animali.
E dicono, che v’ è gran differenza
Fra l’uomo, e noi, che quasi ei segga in trono,
Prestargli i Bruti debbono obbedienza,
Ma credi pur che alcuni uomin vi sono,
E in specie in fra lo stuol de’ tuoi serventi,
Da una zanzara poco differenti.
Com’esser può che al mio ronzar t’ annai
Tu, che del vano ed arrogante Euriso
Soffrir le ciarle quotidiane puoi
Con un tranquillo e indifferente viso?
Qual differenza parti di trovare
Fra il discorso d’Euriso, e il mio ronzare?
Nessuna: il mio ronzare è un suono vano,
Si perde in aria, e niuna idea racchiude;
Il discorso d’Euriso, ancorchè umano
Remore è sol che alfin nulla conclude;
E quando per quattr’ ore egli ha parlato,
E’ lo stesso ch’io avessi allor ronzato.
Qual merto ha Fulvio? forse nella danza
Salta leggiero, e a tempo il passo muove
Agilmente in leggiadra contraddanza?
Agile è ancor la scimia, e fa tai prove,
E in corda una ballare io ne mirai,
Che del tuo Fulvio era più snella assai.
Con serietà sdegnosa, e fronte altiera
Vedi Silvio pensoso? in lui mirando
Ti sembra, che all’ eccelsa e lunga schiera
Degli avi ei vada sempre meditando;
Ma che? forse sarai di un’ intarlata
Carta pecora antica innamorata?
Filanto è ricco: di pompose spoglie
Se n’ esce fuor festosamente adorno,
Entro gemmato anello il dito accoglie,
Che ad arte va movendo intorno intorno,
Perchè il fulgor de’ lucidi diamanti
La vista abbagli a tutti i circostanti.
In aureo cocchio, in aria signorile
Siede, e di servi un numeroso stuolo
Dietro stanno ammassati, e il volgo vile
Non s’ abbassa a degnar d’ un guardo solo:
Ma se le gemme, il cocchio, e l’ aurea vesta,
E i servi togli a lui, che mai gli resta?
Lesbino poi, lo stupido Lesbino
Altro merto non ha, che un crin dorato,
Un piccolo e piumato cappelline,
Un mazzetto di fior sul manco lato,
E un orïolo, a cui si stanno appesi.
Cento diversi armoni’osi arnesi.
Altro non sa che, senz’aprir mai bocca,
Guardarti sempre, ed il rotondo viso,
In cui dipinta sta l’ anima sciocca,
Muover ad un insulso e vano riso;
Ovver dell’ orïolo sbadigliando.
I ciondoli vezzosi ire agitando
Questi e molti altri ch io potrei contare,
Son tuoi compagni, e ti son sempre appresso
E a una Zanzara, o Fille mia, di stare
In compagnia di lor non fia permesso?
Se a lor mi paragono in verità,
Io non credo peccare in vanità
Che se animai nociva alcun mi crede,
Perchè talvolta io fo qualche puntura,
Pensa che il dardo mio sì lieve fiede,
Che assai mite è il dolore, o poco dura:
Ma quei sciocchi, chea ts d’intorno stanno,
Più dannose punture ancor ti fanno.
Nella fama ti pungono costoro,
E con maligno stil poco sincero
Tentano d’ oscurare il tuo decoro,
E mescolando il falso insiem col vero,
Fra le sublimi lor galanti imprese,
Narrando van quanto tu sia cortese.
Lesbino va mostrando a quello e a questo
Un tuo viglietto, e in fondo la vedere
Scritto il nome di Fille, e copre il resto;
Sorride con maligno e van piacere,
E ascondendo lo scritto bruscamente,
Ei vuol che il meglio interpreti la gente
Silvio dice che crede farti onore,
Se s’ abbassa alla tua conversazione,
E par ch’ ei pensi, che il sottil vapore
Della nobile sua traspirazione
Ovunque ei segga, ovunqae egli s’aggiri,
Aure patrizie in ogni loco spiri.
Filanto poi se non gli hai stretta almeno
La man tre volte, e in aria lusinghiera
Non lo guardasti, di dispetto pieno
D’oziosi zerbini entro una schiera,
Narra dì te maligne istorielle.
E segrete e malediche novelle.
Or dimmi: ed avrai cor di discacciarmi.
Quando tal gente poi tu soffri accanto?
E se mi scacci non dovrò lagnarmi?
E Fulvio, e Silvio, e Lesbino, e Filanto.
Eh convien’ confessar, Fille mia cara,
Che vaglipno assai meo d’una Zanzara.
“La Zanzara “