O beata Soliludo !
Quando l’inverno nel canton del foco
La nonna mia ponevasi a fìlare,
Per trattenermi seco in festa e in gioco,
Mi soleva la sera raccontare
Cento e cento novelle graziose,
Piene di strane e di bizzarre cose.
Or le ranocchie contro i topi armate,
Del lupo, della volpe i fatti, i detti,
Le avventure dell’orco e delle fate,
E le burle ile’ spiriti folletti,
Narrar sapea con sì dolci maniere,
Ch’ io, non capiva in me dal gran piacere.
Or mia nonna sovvienmi che una volta,
Dopo averla pregata e ripregata
Con mille dolci nomi, a me rivolta,
Alfine aprì la bocca sua sdentata,
Prima sputò tre volte e poi tossì,
Indi a parlare incominciò così:
C’ era una volta un topo, il qual bramoso
Di ritrarsi dal mondo tristo e rio,
Cercò d’un santo e placido riposo,
E alle cose terrene disse addio;
E per trarsi da loro assai lontano,
Entrò dentro d’un cacio parmigiano.
E sapendo che al Ciel poco é gradito
L’uom che si vive colle mani al fianco,
Non stava punto in ozio il buon romito,
E di lavorar mai non era stanco,
Ed andava ogni giorno santamente
Intorno intorno esercitando il dente.
In pochi giorni egli distese il pelo,
E grasso diventò quanto un guardiano.
Ah! son felici i giusti, e amico il Cielo
Dispensa i suoi favori a larga mano
Sopra tutto quel popolo devoto
Che d’esser suo fedele ha l’atto voto.
Nacque intanto fra’ topi in quella etade
Una fiera e terribil carestia;
Chiuse eran tutte ne’ granai le biade,
Nè di sussister si trovava via,
Chè il crudel Rodilardo d’ogn’ intorno
Minaccioso scorreva e notte e giorno.
Onde furon dal pubblico mandati,
Cercando aita in questa parte e in quella,
Col sacco sulle spalle i deputati,
Che giunser del romito anco alla cella;
Gli fecero un patetico discorso,
E gli chiesero un poco di soccorso.
O cari figli miei, disse il romito,
Alle mortali o buone o ree venture
Io più non penso, ed ho dal cor bandito
Tutti gli affetti e le mondane cure:
Nel mio ritiro sol vivo giocondo;
Onde non mi parlate più del mondo;
Povero e nudo cosa mai può fare
Un solitario chiuso in queste mura,
Se non in favor vostro il eiel pregare,
Ch’ abbia pietà della commi sventura?
Sperate in Ini ch’ ei sol salvar vi può:
Ciò detto, l’ uscio in faccia a lar serrò.
O cara nonna mia, le dissi allora,
Il vostro Topo è tutto fra Pasquale,
Che nella cella tacito dimora,
C’ha una pancia sì grossa e si badiale,
Che mangia tanto, e predica il digiuno,
Che chiede sempre, e nulla dà a nessuno
Taci la buona vecchia allor gridò,
O tristarello; e chi a pensare a male,
Contro d’un religioso t’insegnò,
Ed a spular. cosi di fra Pasquale?
O mondo tristo! o mondo pien d’ inganni!
Ah la malizia viene avanti gli anni?
Se ti santo parlar più in tal maniera,
Vo’che tu vegga se sarà bet gioco.
Cosi parlò la vecchia, e fè una cera,
Che a dirla schietta la mi piacque poco
Ond’ io credei che fosse prudenziale
Lasciar vivere in pace ira Pasquale.
“Il Topo Romito “