Quid rides? mutato nomine, de te
Fabula narratur.
Horatio
Di vaghi fiocchi e fregi aurei lucente
Terso cristallo in stanza ampia brillava
Dalla parete serica pendente,
Che con dolce magia tutte arrestava
Fise le donne almen per qualche istante
Che passavano a caso ad esso avante.
Allo specchio trovossi dirimpetto
A caso un Scimiotto; e tosto scorse
Dipiato sul cristallo un brutto aspetto;
Ma ch’ era il suo ritratto non s’accorse;
Nè conoscerlo punto egli potea,
Che sè stesso mai visto non avea:
Ed in età così poco matura
Un cacciator dal bosco lo rapìo,
Che rimembranza più della figura
Lì i non avea del popol suo natìo:
In somma sul cristal vide un sembiante
Deforme assai, non più veduto avante.
Fiso guarda l’immago, e poi s’ appressa,
E sul vetro la zampa a lei distende,
E rimira che a lui s’ accosta anch’ essa,
E il muso al muso, e l’unghia all’unghiastende,
Tosto dietro al cristallo i lumi gira,
Che crede ivi celarsi, e nulla mira.
Allor s’arresta, e con schernevol riso
Grida: chi sei, bruttissima figura?
Cela ai raggi del dì sì sconcio viso,
Nasconditi, deforme creatura:
Dunque, o sciocco, gridogli allora un Gatto,
Cela te stesso, è quello il tuo ritratto.
Ti sei tatto giustizia, e quale il mondo
Ti chiama, da per te ti sei chiamato,
E quanto.vago sia, quanto giocondo.
Il tuo sembiante alfine hai confessato
Via, perchè cessi? segui pur sincero
L’elogio tuo, ch’ è troppo bello e vero.
Stava la Scimia stupida e confusa,
E a sè gli sguardi, ed al’ cristal volgea
Ma quando poi s’accorse, ch’e delusa
Era cotanto, e il Gatto il ver dicea,
Piena di rabbia allor lo specchio afferra,
E rotto in cento pezzi il caccia in terra.
Questo specchio è la favola, in cui spesso
Ride lo sciocco, se mirar si crede
Dei compagno il ritratto al vivo espresso;
Ma se alla fine il proprio ancor ci vede,
Biasma la favoletta, e di follia
L’ autore accusa, e il libro getta via.
“La Scimia e il Gatto”